Bartolomea Rossi

Bartolomea, detta Bona, fu discepola dell’eretico Zaccaria di Sant’Agata che il 16 dicembre 1303 venne arso vivo. Bona fin dal 1301 visse a Roffeno, dove probabilmente aveva frequentato le comunità religiose femminili. Dimorò da sola in un eremo, accogliendo di tanto in tanto altre donne. Furono proprio due di queste ospiti che la denunciarono come “apostolica” e seguace di frate Dolcino. Bartolomea ammise ogni colpa e frate Guidone le concedette qualche giorno per preparare la sua difesa. Dopo di ciò andò a Savigno ove frequentò l’eremo di Bertalia e in particolare Giacomo da Roffeno, anche lui dulcineo in clandestinità.

Quali erano i fondamenti del’accusa contro Bona? Non credere né alla santità della Madonna né alla funzione salvifica della verginità, e neppure al valore dei digiuni e delle confessioni.

Nel 1305 venne condannata alla crocesignatura (due croci di stoffa gialla, una sul petto, una sulla scapola), per aver sostenuto che la vita degli eretici era migliore e più santa di quella dei religiosi e che la scomunica del Papa nei confronti dell’eretico Dolcino e dei suoi seguaci non poteva avere alcun valore. Bartolomea concluse la sua deposizione con una coraggiosa esaltazione di Dolcino.

Nella primavera del 1307 venne a sapere del massacro compiuto a danno dei dolciniani dal vescovo di Vercelli, e della fine tragica di Dolcino.

Qualche settimana dopo, una nuova testimone, suor Lazzarina, la denunciò ulteriormente, per cui ai primi di novembre l’Inquisizione di Bologna la riconvocò con l’accusa di essere recidiva. Questa fu la deposizione di Bartolomea

«Sì ho trasgredito e non me ne pento e, se mai avevo pensato di ravvedermi, ho rigettato questa cattiva intenzione come fa il cane che rigurgita un boccone avvelenato. Viva Dolcino e viva il suo insegnamento di povertà. Abbasso il dogma della verginità: Dio ci vuole liberi, uomini e donne».

Bartolomea Rossi fu condannata come spergiura e venne scomunicata, per poi essere bruciata viva il 21 novembre 1307 a Bologna.

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