Monzone

Si tratta di una residenza padronale cinquecentesca, probabilmente sede dell’originario castello di Roffeno o comunque parte, insieme a quella del Poggiolo, della sua rete difensiva dalla fine del Duecento agli inizi del Trecento, data che attesta anche la sua costruzione.

Vi è ancora traccia delle mura e un grande portone d’accesso. Accanto alla torre vi è un interessante edificio del Cinquecento con finestre ad arco a tutto sesto e stipiti in pietra bugnata. Ma chi erano i personaggi che hanno arricchito l’Appennino Bolognese e non solo? Artigiani costruttori, scalpellini e architetti. Originariamente vivevano nella regione di Como e, per via della loro particolare abilità artistica, cominciarono a spostarsi anche in zone lontane del Nord Italia o d’oltralpe. Il fatto che fossero itineranti, permise loro di espandere il loro sapere in varie zone, e di imprimerlo sulla pietra affinché fosse duraturo. Una sorta di codice di pietra che si è tramandato nel tempo.

Alcuni storici sostengono che avessero contatti con la massoneria operativa e in questo senso possiamo reperire qualche traccia.

I Maestri Comacini si riunivano in società, o logge, e furono riconosciuti come società di muratori, nel 643, con l’editto di Rotari, e nel 713 in quello di Liutprando.

Nel 918 appare il primo documento, un atto notarile, ove vi è scritta la parola ‘massonica’. La loro opera venne conosciuta anche all’estero e in Inghilterra appare un altro documento, risalente al 1396, ove si trova la frase «Latomos Vocatos Fremaceones» (‘Scultori chiamati Frammassoni’) e in alcuni cantieri appare la scritta in italiano ‘Liberi Muratori’. Non mancano dei riferimenti anche in Italia, soprattutto in riunioni, che vengono chiamate ‘logge’ e in tutta una serie di simbologie scolpite sulla pietra che richiamano senza dubbio quelle della massoneria operativa. Ciò è anche confermato da un pergamena conosciuta come Documento di Amburgo, eisalente al XIII secolo e poi pubblicata nel 1877.

All’articolo 17 si legge:

Se un fratello del Tempio ha ottenuto la carica di Priore e di Prefetto, deve provvedere a strutturare nella maniera più consona all’incarico la sua casa, secondo le nostre usanze segrete, ricorrendo a un “maestro muratore” che sia a conoscenza della sapienza dei nostri Padri. Se costui non è un iniziato, si dovrà provvedere al più presto a rivelargli la luce, in modo tale che possa edificare il Capitolo affinché la luce di Dio vi dissipi le tenebre.

Anche per questo motivo le conoscenze dei Magistri Comacini, erano custodite gelosamente e tramandate solo oralmente, in quanto racchiudevano un sapere e spesso una mistica che prendeva vita dalla geometria, intesa come archetipo di una perfezione superiore. Anche gli strumenti da lavoro che utilizzavano e che venivano scolpiti in queste case-torri richiamavano una sapienza profonda.

La cazzuola indica la comunione tra gli uomini, impastati con la stessa sostanza; il compasso crea il cerchio, simbolo del cielo, mentre la squadra il quadrato emblema della terra, per questo spesso veniva abbinati; la leva è il mezzo per sollevare la struttura ed erigere la costruzione attraverso il filo a piombo o la livella. Infine il maglietto simboleggia la forza di volontà e la determinazione ad agire per il bene secondo virtù e coscienza. Attraverso questo lavoro si creava un vero codice di pietra, un filo invisibile che riuniva le costruzioni dell’epoca.

Uno dei simboli più importanti che troviamo in queste case del territorio è la Rosa comacina già presente in una stele etrusca del IV secolo a.C., ma anche in Assiria nel 645 a.C., nell’antico Egitto e nell’arte celtica.

Ora è conosciuto come Fiore della vita a sei petali che si vengono a creare dalla sovrapposizione di una serie di cerchi uguali, collegati da centro a centro. A proposito di geometria, in questo simbolo troviamo il significato più profondo del sacro che si irradia attraverso misure precise che poi si collegano al ritmo spazio-temporale. Ricordiamo che le case-torri quasi sempre ospitavano questo segno inciso nella pietra sul portale d’ingresso, nei davanzali delle finestre e sugli stipiti, così da ornare l’edificio e proteggerlo sottilmente dagli influssi negativi.

Il suo valore propiziatorio si evince anche dal fatto che veniva incisa sul giogo degli animali e gli attrezzi da cucina, così come sul fondo delle padelle per i borlenghi, ma anche impresse su crescentine montanare, così da proteggere sottilmente anche il cibo. Inoltre, unendo le punte estreme del fiore si ottiene l’esagono, che evoca la stella di David ed esprime l’unione tra cielo e terra, tra mondo spirituale e mondo materiale.

Tra 1934 e 1938 Monzone fu abitata dal poeta del colore Giorgio Morandi che qui dipinse una trentina delle sue opere, ispirandosi alla bellezza del territorio che egli tanto amava.

Scroll to Top